Bibliografia
Il Giornale dell’arte, “La rivincita del collage”,
Gallerie, Numero 373, marzo 2017
Gabriele Simongini, “I nidi di Sabina Bernard tra apparizioni e presenze femminili”,
Il Tempo, 10 marzo 2017
Lorenzo Cantatore, “Sabina Bernard o del collage come nido”,
Catalogo Nidi, Galleria Porta Latina, 2017
Tiziana D’Acchille, “Il favoloso mondo di Sabina”,
Catalogo Nidi, Galleria Porta Latina, 2017
Marco Nocca, “Si sta come funamboli sull’abisso. I collages di Sabina Bernard”,
Catalogo Così si sta, Galleria Incontro d’arte, 2014
Roberto Maria Siena, “Sabina Bernard e la nostalgia dell’anima”,
Catalogo Così si sta, Galleria Incontro d’arte, 2014
Francesco Zito, “Collage della memoria”,
Catalogo Così si sta, Galleria Incontro d’Arte, 2014
Carmine Siniscalco, “Tre Generazioni”,
Galleria Studio S-Arte contemporanea, Roma, 2011
Milton Gendel, “Scatole della Memoria”,
Galleria Ferro di Cavallo, Roma, 2005
Aldo Braibanti, “Lettera”,
Galleria Ferro di Cavallo, Roma, 2005
Si sta come funamboli sull’abisso. I collages di Sabina Bernard
Un funambolo si è appena lanciato nel vuoto all’interno di una cupola: lo vediamo, prima ancora che arrivi allo strappo, prima della terribile vendetta della forza di gravità, mentre precipita, annegato nel bianco della tela che lo inghiotte, tenuto in sesto dal sottilissimo cavo che discende dal tamburo. “Così si sta” è il primo dei collages di Sabina Bernard che ho visto nello studio ancora sul cavalletto: un vero manifesto poetico. Funambolo sul filo (il passo rapido e attento che non ammette errori, la concentrazione sul bilanciere), l’artista si è districata in questi suoi collages tra immagini di momenti di vita da lei stessa fotografati, figure di sogni e allegorie di desideri e pulsioni, via via riemerse, catturate, ritagliate e incollate. Il suo taccuino della memoria, sorta di giornale di viaggio interiore, l’ha vista giorno per giorno ligia e fedele, come ad un compito assegnatole dall’esterno, fissare così sul foglio il faticoso viatico del vivere. Procedendo per gradi l’artista ha ripescato dal mare le immagini del Passato (“Itaca”), aspettando con pazienza sulla riva che si ricomponessero; le ha assemblate, è rimasta sorpresa del significato riconquistato dalle relazioni tra le cose, come di una strada, percorsa all’indietro, quando non si riconoscano più i paesaggi attraversati: un’Arcadia possibile, una nuova età dell’oro del dire e dell’esprimersi. Come folletti invadenti usciti dalla sua fantasia, immagini celebri della storia della pittura hanno spiato quei nuovi interni, i paesaggi ricomposti, le stanze reali e immaginarie: occupati quegli spazi (“Nelle sue stanze”), li hanno attraversati con la discrezione di un altro Tempo (“In fondo al giardino”), aprendo cancelli di speciali dimore (“La chiave”), o cullandosi su chaiselongues in preda ai sogni ( “La felice” ). I luoghi “reali” della memoria personale (la bellissima Villa di Marlia, riconoscibile in “Quam tristis” affondare nell’oblìo, e in alcuni interni) si sono mescolati e confusi con il presente della vita familiare, trasfigurata in “Acqua alta”, occhieggiante in “Attraverso la finestra”, parodiata in “Le cucine”: immagini ironiche che assegnano al gioco nel quotidiano la necessità di un mito di fondazione. Anche il modo con cui Sabina ha proceduto tecnicamente parla molto del suo percorso: dai primi assemblaggi di immagini, frammenti catturati e portati in superficie, composti nel bozzetto (alcuni rimasti tali e accostati in mostra ai formati più grandi), l’artista ha sentito il bisogno di una dimensione differente, quasi che nel diventare opera in scala maggiore venisse meglio alla luce quanto recuperato nelle sulfuree miniere dell’Io. Ecco allora l’idea. Il collage è ingrandito e reintelato, o stampato su alluminio: non più opacità della riproduzione fotografica, ma consistenza materica dell’immagine, apportata da brevi inserti di colore, di oro, che fermano, rinsaldandolo, quanto si è accampato con leggerezza nell’occhio dello spettatore. La tecnica del collage è un portato delle avanguardie: entrato l’oggetto nell’opera pittorica prepotentemente con Picasso già dal 1910 (“Natura morta con sedia impagliata”), le sue scorribande da protagonista si raffinano con Duchamp, naturalmente, fino a raggiungere gli esiti più alti nella fotografia Dada e Surrealista (Man Ray), che suggerisce e giustifica tutta una semiologia freudiana degli oggetti e dei gesti, un territorio onirico di cui l’artista diventa inquieto vate. Qui, abbandonata la dimensione materica, l’accostamento delle immagini è ricercato spesso proprio in direzione del sogno e del gioco (“l’arte non è una cosa seria” aveva detto Tzar, Manifesto del signor antypirine,1918). Vive di certo una forte componente di quest’ultimo genere, nei collages di Sabina Bernard, tanto che, “per li rami”, la sua vicenda familiare risale ad Etienne de Beaumont, figura del Surrealismo parigino, amico di Cocteau, ispiratore del “Bal du comte d’Orgel” di Radiguet (1924) e a Mimì Pecci Blunt, animatrice dello straordinario cenacolo costituito a Roma intorno alla galleria “La Cometa” negli anni Trenta, che nel palazzo all’Aracoeli raduna le voci più alte dell’arte e della letteratura europee (Dalì, Valery , Cocteau, Moravia, Malaparte). E al sogno come linguaggio da decifrare, stato vitale più alto in cui tutto si fa chiaro e insieme verità profonda dell’Io rivelata nel paradosso, l’artista rimanda con “Allegoria della castità”, scatola magica al centro del percorso espositivo. Nel “Sogno di ragazza ” (1506) di Lorenzo Lotto a Washington, cui il collage si ispira, una giovane donna addormentata riceveva da Eros corolle auree, nel sogno dell’estasi d’Amore in cui riunire Eros e Agape, minacciata dall’incontinenza dell’Amore carnale simboleggiato dai satiri. Qua un uomo, sorta di manichino assopito, sogna una pioggia di anelli inviati dal cielo dalla mano (mancina) di Dio, mentre una capra lo sta per raggiungere, certo per “svegliarlo”: un’allusione ad una Verità (la castità “impossibile”), rivelata nel gioco dalla parodia. Il gioco è alla base anche del delizioso “Andature di genere”, in cui al modo esclusivo di salire una scala da parte di un uomo nerboruto che “tira la carretta” si contrappone, nuda e flessuosa, una donna che discende da scale multiple, con acrobatico passo all’indietro: raffinata allegoria della differenza che separa il maschile dal femminile nelle modalità di combattimento quotidiano col mondo. Quel mondo che Sabina Bernard ricompone nei suoi collages come memoria (“Mnemosyne”), scavo nel profondo della psiche (“Inconscio”) , immaginazione (“Il dito e la luna”) e sogno (“Sogni d’oro” e “Sonno sognato”); governato da una forza oscura (“Amore cieco”), sovrinteso da una Divinità (“La Sorte”) che è un idolo mostruoso e terrorizzante, con un piede a forma di ascia, che recide a suo piacimento i destini degli umani. Un mondo di splendori ed abissi quotidiani su cui l’artista, teso con umiltà il filo e imbracciato il bilanciere del lavoro di tutti i giorni, ripete la lezione del grande funambolo Philippe Petit: colmare il Vuoto. Un vuoto tra due torri, due orli di precipizio, due pianeti, o lo spazio tra il cuore e lo spirito. Unito da un filo. Che collega ciò che sarebbe rimasto separato per sempre, nella solitudine.
Marco Nocca
LIBRO di Sabina Bernard - Così si sta
Editore: Achillea Felix
Anno edizione: 2014
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SABINA BERNARD E LA NOSTALGIA DELL’ANIMA
“Tutto lo spazio era lievemente inclinato, come se Dio, per uno scherzo astuto, lo avesse sollevato dal lato dell’anima.” F. Pessoa
Andy Warhol sosteneva che se si desiderava sapere tutto su di lui, bisognava semplicemente guardare la superficie dei suoi quadri; in altre parole, per l’americano, l’artista conosce le stesse cose del suo pubblico e non supera l’orizzonte mentale dell’uomo della strada. Ora chi è l’”uomo della strada”? A questa domanda risponde Martin Heidegger quando parla di “esistenza inautentica”. “Inautentica” è l’esistenza anonima, quella di tutti e di nessuno; l’esistenza in cui il “si dice” e il “si fa” domina incontrastato. In essa ogni cosa è livellata e insignificante; come è evidente, è questa l’esistenza cantata ed esaltata dal protagonista della Pop Art. Sabina Bernard esprime un’opinione diametralmente opposta; infatti all’ “esistenza inautentica” del “maestro del banale”, oppone l’ “esistenza autentica” che scaturisce dall’essere all’interno della ricerca artistica. Travolgendo Warhol, la nostra dichiara inoltre guerra alle Neoavanguardie; facciamo un solo esempio. Fra giugno e settembre del 2014, Villa Medici ospita una mostra dal titolo eloquente: la pittura o come sbarazzarsene. In Italia il “grado zero” della pittura è esemplificato, com’è noto, da Lucio Fontana, Sergio Lombardo, Fabio Mauri ed altri. Come dicevamo appena sopra, la Bernard ritiene invece che il disegno e la pittura abbiano ancora molte cose da dire. Non perdiamo tempo, e leggiamo almeno tre delle opere che l’artista sottopone all’attenzione di noi tutti.
Si osservi attentamente il collage Sonno sognato; la fanciullina è nelle mani di Hypnos, e dietro di lei una “architettura” diafana e divinamente disossata. Appunto l’opera d’arte come rivelazione di quella realtà oltremodo complessa che è l’uomo quando non si ferma all’io da sveglio. Il collage; dunque non solo la pittura e il disegno tradizionali. Quale il rapporto della Bernard con la non aggirabile avventura delle Avanguardie Storiche ? Un rapporto ricco e dialettico; l’artista quindi non è solo l’abile disegnatrice che è andata a scuola da Ingres. L’arte è anche (e soprattutto) il luogo magato che vede accadere l’Alterità, la disintegrazione dei fenomeni e del buon senso filisteo. Accanto al collage, gli assemblaggi che permettono all’artista di giocare fra pittura e scultura; avviciniamoci, per fare un solo esempio a Pentimento. Ovviamente lo splendore della dissimilitudine; convivono, infatti, l’anello incastrato con la conchiglia spinosa e ricca di aculei sistemata al centro della “scatola”. Tutto ciò indica che, a volte, il Meraviglioso è insieme agitabile, misterioso e vivo; chi ci garantisce, infatti, che gli aculei non crescano fino a raggiungerci? Nessuno; in questo senso l’opera si oppone a Morandi, al Morandi che vede stralunati oggetti rimanere sospesi all’interno di non-luoghi sedotti dal silenzio del non-essere. I lavori della nostra, al contrario, sono formicolanti di vita, di una vita però che, come abbiamo visto, non dimentica il sogno e la nostalgia dell’anima. Ora, per finire, pur avvicinandosi all’eresia dadaista, Sabina Bernard si pone sostanzialmente agli antipodi di Marcel Duchamp; vediamo in che modo e in che termini.
Il maestro del Grande Vetro, com’è noto, vuole anestetizzare l’arte; infatti la Ruota di bicicletta si colloca al di fuori dell’orizzonte della bellezza; su questa scia gran parte delle Neoavanguardie. Sabina Bernard punta i piedi; il rapporto che stabilisce con la storia dell’arte si basa, al contrario, su quella bellezza che la storia dell’arte dell’Occidente ha coltivato fino, appunto, all’anestesia duchampiana ed oltre. La bellezza, per la pittrice e scultrice, altro non è se non la banca dati a cui fare appello per poter attraversare la “devastante ruspa della storia” per dirla con Eugenio Montale. Per questo non può essere abbandonata e rimossa; ecco così spiegato Così si sta che domina la copertina del presente catalogo. Avendo afferrato il filo che parte dalla cupola, il personaggio amato dalla Bernard si tuffa nello spazio per raggiungere noi, i dispersi abitanti dell’ipouranio. Si badi bene, il discorso non è neoplatonico; la cupola non è l’iperuranio, bensì, come dicevamo, la storia dell’arte in tutta la sua terrena e consolante opulenza. Il filo che l’eroe tiene in mano è il filo che l’artista, Parca felice e rovesciata, tesse tutto intero a nostro vantaggio affinché sia ridotta, grazie alla menzogna dell’arte, l’area troppo estesa dell’infelicità umana.
Robertomaria Siena
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COLLAGE DELLA MEMORIA
I collage di Sabina Bernard sono delle "madeleine" di un lontano e splendido passato, amato e vagheggiato, sono ricordi di un'infanzia trascorsa, di luoghi irrimediabilmente e per sempre perduti. Sono rimandia personaggi forse mai direttamente conosciuti ma evocati attraverso la memoria di altri, di generazioni precedenti che hanno vissuto e abitato i medesimi luoghi, gli stessi ambienti che diventano simbolo di un mondo interiore...
Ma spesso la nostalgia infantile è minacciata da presenze ostili, da ombre ed ectoplasmi che appaiono inattesi, evocando un'intima inquietudine. Il passato, seppur follemente amato, diventa, così, disturbante, forse perché irrimediabilmente perduto, forse perché evocazione di indecifrabili e remote paure.
Francesco Zito